Hamletmachine – La variante di Amleto colpisce e sconvolge il pubblico

DAVIDE LICARI – Si accendono le luci nel chiostro del Convento in Piazza del Carmine, si alza il sipario, il pubblico scatta in piedi ad applaudire le giovani attrici del Tam, il Teatro Abusivo di Marsala, che hanno impersonato le mille anime di Amleto in questa travolgente rilettura del testo di Heiner Müller, Hamletmachine, che in questa occasione la mente creativa del regista teatrale marsalese Massimo Pastore trasforma ne “La variante di Amleto”. Era il 1977, nelle sale cinematografiche di tutto il mondo usciva Guerre Stellari, il film prodotto dal genio di George Lucas destinato a cambiare per sempre le sorti della storia del cinema, in Italia erano gli anni di piombo e impazzavano i movimenti studenteschi negli atenei del centronord, ad est i decadenti regimi iniziavano a emettere i primi scricchiolii dinnanzi alla fame di libertà, si diffondeva la coscienza ambientalista grazie al rapporto Meadows sui limiti dello sviluppo e le lotte femministe ottenevano importanti risultati: il divorzio, l’aborto, le leggi di civiltà.
In quel clima di forti tensioni e di importanti contraddizioni il regista teatrale e commediografo tedesco Heiner Müller realizzava un dramma postmoderno che prendeva le mosse dall’analisi delle condizioni di vita a est della cortina di ferro, per poi riflettere sulle crepe nella civiltà occidentale, nella sua cultura egemone. Un’opera complessa, basata su un testo lungo non più di nove pagine, priva di una trama, composta da monologhi proposti sul palcoscenico in una lunga sequenza di flussi di coscienza nei quali l’attore riflette sul dramma del suo essere attore in una realtà che offre prospettive distorte dalla contemporanea presenza di infinite varianti del sé. “La variante di Amleto”, come suggerisce il regista Massimo Pastore nello spazio dedicato al proprio stesso monologo, quello del personaggio semicomico Amleto Paternò, fondamentale nel fornire al pubblico la chiave di lettura dell’opera stessa, non è altro che il dilagare di infinite copie della stessa entità unite da un unico filo, la consapevolezza del proprio destino di oppressione in un mondo in cui violenza, odio, brutalità, barbarie, sono tristemente all’ordine del giorno.
Nell’ultima settimana questo mondo ha perso Gino Strada, medico e uomo di Pace, e l’Afghanistan torna a conoscere il terrore del fondamentalismo talibàn, le donne e i bambini saranno le prime vittime di questa stretta sulle libertà individuali in una terra dilaniata da conflitti etnici secolari. Ancora una volta le brillanti menti di questo occidente non sono state in grado di cogliere l’inefficacia di un’azione condotta militarmente nella bieca illusione di potere condurre un salto culturale nel vuoto dell’arido deserto afghano, dove le condizioni materiali e le tradizioni immateriali si mescolano dando vita a centinaia di culture differenti. Varianti della stessa comune umanità, varianti come quell’Amleto donna che era stata Amleto uomo, come quelle stesse donne che come un circolo di streghe sul palco raccontano l’oppressione dei corpi femminili e delle loro menti. E le donne Afghane torneranno a nascondere i loro volti come le attrici del Tam nascondevano i loro nella vasche d’acqua poste in scena.
Amleto racconta l’orrore della guerra, i bambini sanguinanti traumatizzati dai bombardamenti in Siria, il piccolo Aylan morto affogato su una spiaggia egea, il corpo accarezzato da quelle onde che l’avevano strappato alla vita. “La variante di Amleto” narra la violenza dell’oppressore che usa scaricare il proprio odio sui prigionieri in un carcere italiano, l’odio di quei politici beceri che sfruttano le masse e i loro desideri più morbosi per ottenere ancor più prestigio e onori. Hamletmachine racconta molto di questi tempi, dei tempi passati e dei tempi che verranno, probabilmente aiutato dalla sua stessa struttura narrativa e dall’esilità del testo. L’ora e un quarto di spettacolo risulta travolgente, a tratti sconvolgente nell’inquadrare le immagini sullo schermo, disturbanti, brutali, come i corpi che si irrigidiscono piegandosi in pose innaturali, replicando violenti spasmi muscolari, o come le risate isteriche colme di follia, senza tacere del profondo monologo di un uomo diversamente abile, figura contorta su una sedia a rotelle, prigioniero del proprio stesso corpo, oppresso dentro se stesso, capace di colpire al cuore l’anima dello spettatore con il suo grido di vita. Suggestive le musiche – a tratti struggenti -, le danze mistiche, le trasformazioni e le evoluzioni che si susseguono sul palco. Marsala ha la possibilità di ammirare grande teatro, un pregio per una comunità che soffre la scarsità culturale in un territorio che potenzialmente può offrire molta ricchezza. Il Tam si conferma realtà solida e all’avanguardia mentre veleggia verso il decimo anniversario, dieci anni di attività nel corso dei quali numerosi sono stati i giovani talenti locali lanciati nell’orbita del mondo teatrale, una realtà che meriterebbe indubbiamente maggior riconoscimento e sostegno. Chi altri a Marsala porterebbe in scena Hamletmachine, Le Troiane, I giganti della montagna?

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