Marsala, la “Giornata della Memoria e dell’Accoglienza” ricorda la tragedia e ribadisce l’importanza della diversità

DAVIDE LICARI – Marsala, sono le 17.00 di una domenica pomeriggio, il sole è ancora alto nel cielo e scalda con un fascio di luce l’anfiteatro dei Salesiani. L’arena è stracolma di umanità, la folla siede sui roventi gradoni di cemento e attende l’inizio della “Giornata della Memoria e dell’Accoglienza”; ci sono i ragazzi afghani, si commuovono alla vista della propria bandiera, e insieme agli altri partecipanti sono uniti nelle diversità; sono giovani provenienti da ogni parte del mondo e si esprimono nei segni della lingua natia descrivendo il proprio ricordo, la memoria della sofferenza vissuta sulla pelle scottata dal sole e dal sale, della fuga dalla guerra e dalla fame, dalla povertà, rivendicano l’orgoglio della propria umanità. Nel frattempo l’iniziativa – organizzata da Amici del terzo Mondo, Arché Onlus, Libera, Salesiani Marsala e Casa di Venere -, sta per avere inizio. Sul proscenio Enzo Zerilli, da sempre impegnato nelle cause sociali, in aiuto di chi ha bisogno di un sostegno umano, introduce gli interventi in favore della cultura dell’incontro con la diversità. Ma questa non è una giornata di festa, si ricorda l’ottavo anniversario della tragedia del 3 ottobre 2013, il giorno in cui un barcone strabordante di migranti s’inabissò nelle acque tumultuose del Mediterraneo insieme a centinaia di vite spezzate dalla furia della natura, e dall’indifferenza del mondo “sviluppato”.

Diversi gli ospiti presenti, diversi gli interventi, tutti uniti dallo stesso filo conduttore. Marco Saladino, referente del presidio di Libera “Vito Pipitone” di Marsala, rievoca i conflitti in corso nel mondo e descrive l’incontro con i braccianti sfollati di Campobello di Mazara, dipinge con le proprie parole le ceneri nell’accampamento andato a fuoco, e riporta le domande di quelle persone: “Addirittura un ragazzo senegalese mi ha riferito che in Senegal viveva in condizioni migliori che in Italia, che noi italiani abbiamo una concezione sbagliata della vita in Senegal, perché almeno in Senegal queste persone non vivono nell’illegalità, mentre qui hanno difficoltà persino ad ottenere i documenti d’identità.” L’Imam Ahmed Tharwa, che cita il nome di Dio e prega per la fratellanza e l’amicizia tra i popoli, ricorda che tutti gli uomini sono nati per migliorare, per non far vivere ai propri figli le sofferenze dei genitori, e ringrazia i fratelli e gli amici che hanno sostenuto e che continuano tutt’ora a sostenere chi ha avuto bisogno di aiuto. Padre Mario Pellegrino, missionario in Sud Sudan, descrive le drammatiche condizioni della nazione africana sconvolta dalla guerra e dal Covid, afferma che la vita in uno stato in guerra non è vita, si pronuncia in difesa degli ultimi, dei sofferenti, con spirito cristiano denuncia l’intolleranza dilagante anche tra chi cristiano si definisce, una piaga inaccettabile, e racconta del terrore dei bambini sudanesi per l’uomo bianco. Interviene anche una donna etiope, Kassay Ghenneth, che parla della situazione del Tigray; da dieci mesi non ha notizie della sorella, non sa nemmeno se è ancora in vita. Più volte le hanno urlato di tornare al suo paese, di cercare lavoro e vita lì, ma nel Tigray non c’è libertà, c’è guerra, c’è schiavitù, e lancia un urlo disperato: “Dov’è l’aiuto del mondo? Noi etiopi siamo parte del mondo? Perché c’è sempre guerra in Africa? Perché c’è sempre povertà?” Vittorio Alfieri invita tutti i presenti ad andare oltre la semplice celebrazione, la singola giornata, la data del ricordo, e rammenta a tutti l’importanza di ricordare al mondo ogni singolo giorno che la diversità è ricchezza, che non deve essere temuta, bensì accolta: “La diversità non deve fare paura, dobbiamo lottare per l’integrazione, che non è quella di Castelvetrano; noi occidentali ci dobbiamo vergognare, perché l’integrazione è dare dignità agli altri.” Salvatore Inguì invita i presenti a cercare su internet la voce “migranti, naufragio”, e richiama alla memoria tutti gli italiani morti come naufraghi, come migranti, meno di un secolo fa; Inguì invita a ricordare la nostra storia e la storia dei nostri padri: “Padre perdona loro perché non sanno quello che dicono – afferma in riferimento agli odiatori – noi abbiamo un dovere, e la nostra forza e il nostro coraggio è potere confrontarci con chi non la pensa come noi, dimostrando una capacità di dialogo paziente e pacifica anche quando la gente usa toni violenti, perché la gente non conosce la realtà, non conosce che al momento nel mondo esistono oltre 300 guerre aperte, mentre si sente parlare della sola guerra in Afghanistan.” Conclude Inguì: “Noi non siamo tutti uguali, dobbiamo essere trattati in maniera uguale, ma non siamo uguali; c’è chi viene dal Burundi, chi viene dal Tigray, chi viene dall’Uganda, tutti hanno storie diverse da raccontare, siamo fortunatamente diversi, se non fossimo diversi non saremmo ricchi. Crediamo nelle nostre idee, nelle nostre tradizioni, e confrontiamoci, ed è bello, perché abbiamo la possibilità di arricchirci.”

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