“Non chiamatelo ragazzino”, il racconto della vita di un uomo

DAVIDE LICARI – È un pomeriggio soleggiato, accarezzato dalla brezza che rinfresca il clima torrido degli ultimi giorni, il possente arco di Porta Nuova proietta la sua ombra sulla roccia di Custonaci che lastrica Piazza della Vittoria, e i passanti sostano brevemente d’innanzi quella via d’accesso al centro storico di Marsala interrogandosi su quanto stia accadendo presso i locali di Morsi e Sorsi dove alcune decine di cittadini e di cittadine hanno preso posto all’aperto in attesa. Numerose, le volanti di polizia e carabinieri sostano ai piedi del Cine Impero e gli uomini in divisa sorvegliano guardinghi, l’atmosfera è carica di una sferzante vitalità e di trepidante attesa; in questo clima giovedì 1 luglio si è tenuta, nella suggestiva cornice di una Piazza della Vittoria al tramonto, la presentazione del libro scritto da Marco Pappalardo, “Non chiamatelo ragazzino”.
Partecipano all’incontro i magistrati, la dottoressa Caterina Greco e il dottor Calogero Roberto Piscitello, chiude la serata, introdotta e moderata dal dottor Rino Giacalone, l’Onorevole Claudio Fava Presidente della Commissione Antimafia presso l’Assemblea Regionale Siciliana. L’incontro inizia con qualche minuto di ritardo, ma alle 19.00 il sole è ancora ben ravvisabile nel cielo terso di Lilybeo. L’autore del libro introduce la vita del magistrato Rosario Livatino, assassinato dalla mafia ad Agrigento il 21 settembre 1990 e recentemente beatificato. Tuttavia Pappalardo spiega le ragioni che lo hanno indotto a raccontare la vita di quest’uomo divenuto uomo di Stato, martire e santo; e si ripropone l’intenzione di non celebrarne essenzialmente la memoria, ma di narrare l’umanità del giudice “ragazzino”.
La dottoressa Greco riflette sulla fede profonda e autentica che ha animato l’agire di Livatino, la sua morale votata al bene comune, ai valori della propria religione in contrasto alla brutalità della mafia e della prospettiva di fede distorta dei boss, condannati pubblicamente da Giovanni Paolo II con quell’urlo contenente rabbia e autorità, “convertitevi!” Rosario Livatino è martire in una Sicilia martoriata dalle faide e dilaniata dalle autobombe, un esempio delle virtù del siciliano che non accetta di chinare il capo dinnanzi la violenza mafiosa, la costrizione e genuflessione del popolo siciliano privato del supporto delle istituzioni. Istituzioni che ricoprono ancor più oggi che allora un ruolo fondamentale nel sottrarre alle mafie i territori, a partire dalle periferie dell’umanità nelle quali le mafie agiscono senza ostacoli. Motivo per cui l’istruzione continua a rappresentare la principale forma di socializzazione primaria capace di indirizzare i più giovani lontano dalle spire di cose non loro.
Conclude la presentazione del libro, molto semplice nella impaginazione e ricco di illustrazioni che ne rendono la lettura indicata ai più giovani, l’intervento dell’Onorevole Claudio Fava, il quale pone in contatto la morte nella vita di Rosario Livatino con le scelte morali assunte dal popolo siciliano che nel proprio sentire comune iniziava a non concepire più come assoluto il sistema arcaico di valori imposto con la forza bruta dalle mafie, e propone l’esempio di Franca Viola, la giovane alcamese che alla fine degli anni ’60 fu costretta a subire violenza da parte del figlio del capomafia locale, e che ostinatamente e in direzione contraria a ogni sentire comune la giovane, appena sedicenne, trascinò il violentatore in tribunale dove ottenne giustizia, e dove si innescò quel processo di mutazione del sentire comune di cui prima che produsse l’abolizione del matrimonio riparatore come strumento giuridico capace di annullare ogni crimine a sfondo sessuale. La vita di Rosario Livatino potrebbe rappresentare una fonte d’ispirazione per molti giovani che non hanno ancora scelto da che parte della barricata stare, quale indirizzo dare alla propria vita, e necessita indubbiamente di essere narrata, ma affinché la memoria del santo Livatino non diventi l’ennesima occasione cerimoniale occorre che il racconto della sua umanità emerga, indubbiamente iniziative come quelle dell’autore di “Non chiamatelo ragazzino” vanno in quella direzione.

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